domenica 21 luglio 2013

Non è un paese per donne

Negli ultimi giorni le donne sono state alla ribalta della cronaca italiana: dalla Kyenge alla Minetti, passando per la compagna di Di Cataldo che mostra su Facebook le foto dei maltrattamenti subìti ma non sporge denuncia, e la Boldrini che si rallegra per la decisione della Rai di non trasmettere il concorso di miss Italia, augurandosi che in questo modo le ragazze italiane possano puntare su altri talenti. Come se un concorso di bellezza fosse responsabile della superficiale se non infima considerazione che in Italia si ha delle donne. Come se la condizione della donna in una nazione non dovesse misurarsi su ben altri parametri, a partire dalla rappresentanza in governo e la parità sul lavoro. E il nostro Paese non può certo vantare primati in questi campi. E tanto meno nella lotta al razzismo, ai pregiudizi e all'omofobia. L'ultimo episodio in ordine di tempo, l'insulto di Calderoli alla ministra Kyenge, è l'ennesima conferma di un atteggiamento misogino, ignorante e profondamente incivile. Ancora più grave perché di fronte a queste bassezze il mondo politico tace, e quindi acconsente. Inutili e ipocrite le scuse, poco convinti e altrettanto ipocriti i tentativi del Presidente, com'è che si chiama? ah, sì, Letta, scusate, ma è talmente invisibile che dimentico persino il nome...di far dimettere il logorroico leghista. Se lo stesso episodio fosse avvenuto in uno stadio, e la Kyenge anziché ministra fosse stata un calciatore, allora, apriti cielo (come sarebbe giusto e auspicabile): sarebbero piovute multe, squalifiche e scuse ufficiali. Ma il nostro governo, come già sottolineato in un precedente post, è anomalo, totalmente avulso dalla realtà e probabilmente per questo convinto di essere al di sopra di ogni regola. Pertanto appare inutile e totalmente gratuito prendersela con un concorso di bellezza: fino a quando a governarla saranno certi elementi, l'Italia non sarà mai un Paese per donne.

domenica 14 luglio 2013

Mio zio Napoleone o l'arte della parola

L'ultimo libro che ho letto si intitola "Mi Tio Napoleón", traduzione spagnola (editrice Ático de los libros) del romanzo dell'autore iraniano Iraj Pezeshkzad, pubblicato in lingua persiana nel 1973. Dopo la rivoluzione islamica del 1979 il libro è stato censurato in Iran, anche se ha continuato a circolare in maniera clandestina diventando un cult della letteratura persiana, tanto che l'espressione "zio Napoleone", è passata ad indicare per antonomasia ogni atteggiamento di diffidenza e di convinzioni complottiste nei confronti degli stranieri-in particolar modo degli Inglesi-.
Il personaggio che dà il nome al titolo è appunto un vecchio ex militare che millanta di aver sbaragliato interi eserciti di Inglesi: attraverso le parole si è costruito un mondo immaginario che ha finito per sostituirsi alla propria realtà, e in cui ha coinvolto anche i familiari e i vicini che si vedono costretti a reggere il gioco del parente per scongiurare una serie di catastrofi. La storia d'amore contrastata tra il giovane protagonista e la cugina Layli (figlia dello zio Napoleone) è solo il pretesto per mettere in scena una carrellata di personaggi indimenticabili, che al di là delle proprie caratteristiche fisiche e comportamentali, che potrebbero far pensare a macchiette e stereotipi della società iraniana, si fanno portavoci di una ironia e una satira pungente, esprimendo spesso una critica feroce nei confronti della loro stessa civiltà. Il libro è costruito su dialoghi brillanti, in cui la parola è l'elemento fondamentale per plasmare la realtà, sia quella quotidiana e familiare, sia quella storica e universale. E così basta una parola sussurrata per convincere la gente che nella farmacia del padre del protagonista i medicinali vengano fabbricati con l'alcol, e quindi assolutamente proibiti per la loro cultura; o è sufficiente che lo zio Napoleone nomini la battaglia di Kazerum perché il suo fido servo Mash Qasem rievochi episodi leggendari convinto di esserne stato anche lui protagonista. Il romanzo è un abilissimo gioco di piani di realtà e finzione, in cui un semplice gioco di parole, -come l'espressione "andare a San Francisco" per definire i rapporti sessuali-, può scatenare una serie di equivoci e di situazioni esilaranti ai limiti del parossismo. I personaggi costruiscono il proprio mondo trascinandovi anche il lettore, che finirà per chiedersi smarrito quale sia il confine tra realtà e finzione. Ma alla fine non importa, ciò che conta è la forza della parola. Ed è forse proprio per questo che il libro è stato censurato: del resto ciò che spaventa i regimi è la libertà, e in questo caso la parola è talmente libera e potente da riuscire a creare mondi interi, distruggerne altri, far scoprire le menzogne e gridare la verità. E se i poteri totalitari hanno così tanta paura delle parole, probabilmente è perché i mondi che queste costruiscono non sono poi così tanto irreali...

martedì 9 luglio 2013

Miseria e nobilità (e scarpe da tennis)

La mattina vado in palestra, da brava disoccupata vado presto, come le vecchiette: l'età media a quell'ora è di settantacinque anni, io contribuisco ad abbassarla di poco, anche io alla fine sto diventando grande...E infatti dopo un'estenuante seduta di spinning che mi fa provare l'ebbrezza dell'infarto imminente, mi rilasso nello spogliatoio ascoltando i discorsi delle signore che, a parte gli argomenti d'obbligo tipo morte acciacchi e offerte al supermercato (queste ultime le memorizzo religiosamente, perché le vecchiette in fatto di spesa ne sanno una più del diavolo!), ti offrono impagabili perle di saggezza. Come quella che ieri mattina mi ha elargito una simpatica ultrasettantenne che al ritorno dalla doccia mi ha chiesto con tono allarmato se le scarpe sotto la panca fossero le mie. Rispondo di sì e lei mi guarda come se avessi commesso il più grande errore della mia vita: "Nunca más!" "mai più!" mi dice, e io penso, cavolo, ma fanno così tanta puzza? Poi però mi spiega che farei meglio a non lasciare niente fuori dall'armadietto perché c'è gente "que roba", che ruba, se lasci una cosa in giro te la fanno sparire in un batter d'occhio. Ed io poco convinta chiedo: "Anche le scarpe da tennis? Che schifo!" E lei, "Non ti credere, se le lavi tornano come nuove!" E dato che le persone anziane hanno vissuto un sacco e hanno tantissimi aneddoti interessanti da raccontare, mi elenca tutti i furti che ha subíto proprio in quello stesso spogliatoio. E mentre io penso: "Cavolo, allora è recidiva", infilo precauzionalmente le scarpe in una busta di plastica e le chiudo nell'armadietto. Ma la lezione deve ancora arrivare, perché alla mia osservazione circa il fatto che la gente intorno a noi sembra "buena gente", che non abbia bisogno di rubare, la signora conclude affermando che ruba proprio chi non ne ha bisogno, e mi invita a non dimenticare che solo i poveri sono persone onorate che non rubano. A quel punto la ringrazio per i saggi consigli e chiudo a chiave l'armadietto, anche se so già che domani quando andrò a farmi la doccia, lascerò di nuovo le mie scarpette puzzolenti e sudate sotto la panchetta.

martedì 2 luglio 2013

Tramonto rosso

L'altra sera la nazionale di calcio spagnola ha subìto una cocente sconfitta contro quella brasiliana. A parte i meriti sportivi sui cui non è mia intenzione disquisire, non avendone voglia né competenza, questo episodio mi porta a riflettere sulla parabola discendente che la Spagna sta vivendo da un po' di tempo a questa parte, e che assomiglia in maniera neppur troppo velata a quella che ha interessato l'Italia (e dalla quale ancora non ci siamo ripresi) negli ultimi anni.
Sembra che la Spagna stia vivendo in differita episodi che hanno visto protagonista l'Italia una ventina di anni fa: è proprio storia degli ultimi mesi la scoperta nel Parlamento spagnolo di un sistema di corruzione e finanziamenti illeciti che ha più di un elemento in comune con la Tangentopoli nostrana. Con la differenza che qui nessuno sta urlando ad una presunta dittatura della magistratura né si sta dichiarando vittima dell'odio personale di qualche giudice. Fino a pochi anni fa la Spagna appariva come la grande promessa europea, soprattutto per noi giovani alla ricerca di prima occupazione: andati via dall'Italia dove si aveva l'impressione di essere arrivati troppo tardi ad uno spettacolo già cominciato, anzi sul punto di finire, siamo sbarcati qui con mille speranze e altrettante possibilità. Senza sospettare neanche lontanamente che quello che ci eravamo lasciati alle spalle in Italia ce lo saremmo ritrovati nella nostra nazione adottiva solo più tardi. E l'episodio dell'altra sera allo stadio Maracanà sarà stato anche una sfortunata coincidenza, ma l'ho visto ben inserito in un generale panorama di involuzione e di regressione di una nazione che fino a poco tempo fa cavalcava la cresta dell'onda economica e sembrava destinata ad una grande crescita e ad una prospera stabilità. Ma purtroppo quando manca il fondamentale elemento di coesione di una società -ossia il lavoro- questa è destinata inevitabilmente a deteriorarsi e disgregarsi, e attualmente è innegabile che la Spagna sia al tramonto di un'epoca che sembrava d'oro. Ma se è vero che "rosso di sera"....allora speriamo che sia di buon auspicio per un futuro migliore.