lunedì 24 novembre 2014

Di comici, miele e polizia

Chi per caso ieri sera si fosse trovato a passare dalla Rambla intorno alle 21:30, avrebbe assistito ad una scena alquanto bizzarra. Un uomo di 62 anni, pelato e con la pancia, in mutande e con il corpo interamente ricoperto di miele e piume, in mezzo ad uno dei viali più famosi del mondo, incitava una folla di gente a lanciare un urlo al suo segnale.
Molti hanno pensato che fosse un pazzo, e qualcuno addirittura che fosse pericoloso, tanto da richiedere l'intervento della polizia, che manco a dirlo, è accorsa a sirene spiegate e ha prontamente circondato l'uomo bizzarro, scortandolo, a debita distanza, per evitare di imbrattarsi la divisa di miele, dentro al teatro lì di fronte, sotto una pioggia di insulti e imprecazioni della folla rimasta fuori.
Ma come si è arrivati a tutto questo? Andiamo un po' indietro, a un'ora e mezza prima, quando all'interno di quello stesso teatro adesso presidiato dalla polizia, un uomo di 62 anni, pelato e con la pancia, in giacca e cravatta e con il naso rosso da pagliaccio, sale sul palco e si siede su una poltrona in cima a tre grandi scaloni. Dall'alto della sua posizione comincia a raccontare una storia. Di quando da bambino viveva a Milano e ogni domenica con i suoi genitori si recava in Piazza Duomo e trascorreva il pomeriggio a dar da mangiare ai piccioni il pane raffermo messo da parte durante la settimana. Si ritrovavano, bambini di ogni età e ceto sociale, accomunati da quel rito domenicale sotto lo sguardo attento e vigile dei genitori, che si preoccupavano che i propri figli obbedissero alle regole di non giocare a pallone, non gridare e non fare movimenti veloci.
Sembra proprio di vederlo, questo bambino di 6 anni in calzoncini corti che pesca i pezzi di pane secco dal suo sacchetto e li lancia tutto intorno ai piccioni, sotto l'ombra imponente del duomo. Ma una domenica questo bambino si rende conto che quelle convenzioni non gli stanno bene, che quelle tre regole sono talmente prive di senso che non meritano di essere rispettate. E allora decide di infrangerle, e con un gesto veloce scaglia per terra il sacchetto del pane, creando scompiglio tra i piccioni anche loro ormai abituati ai loro lenti movimenti rituali, e suscitando l'ira della madre che con un sorriso forzato gli torce l'orecchio obbligandolo a raccogliere il pane da terra e ricominciare a distribuirlo secondo l'ordine prestabilito. Ma il ragazzino non si fa persuaso, e la domenica successiva osa ancor di più, e contro la regola ferrea di non far rumore, mette in atto il suo piano diabolico: dopo aver radunato gli ignari piccioni con le solite briciole di pane raffermo, accende un enorme petardo e lo lancia in mezzo a loro.
Le conseguenze di quel gesto sono perfettamente immaginabili, e i piccioni superstiti che fuggono impazziti, ci metteranno tre giorni prima di ritornare nella piazza. La gente lo guarda sconvolto, la madre lo schiaffeggia senza pietà, ma lui è soddisfatto, perché ha infranto quelle regole che fin da allora riteneva insensate. E da quel momento, da quel primo gesto di consapevole ribellione, Leo Bassi continuerà a portare avanti la sua lotta contro le convenzioni sui palchi di tutto il mondo. Con lo stesso effetto di un petardo lanciato nel silenzio di una piazza ordinata, a teatro scaglia coca cola sugli spettatori, accende fuochi e minaccia di uccidere almeno 15 delle persone sedute in prima fila. Leo Bassi si definisce un buffone, nel senso classico del termine: balla e urla, utilizza marchingegni stravaganti e trasforma i tratti del suo viso con smorfie grottesche. Ma non si accontenta della risata facile, vuole arrivare alla gente in maniera scomoda e antipatica, vuole incutere timore e aspettativa, pretende che durante il suo spettacolo gli spettatori abbiano "il culo stretto". E ci riesce, alla perfezione. Durante un'ora e mezza non sappiamo davvero se torneremo a casa con i capelli bruciati o il cappotto imbrattato di liquidi più o meno corrosivi, ma sapremo di aver partecipato ad un evento unico e irripetibile, in cui il teatro si è fatto vivo e ci ha regalato un momento speciale. E quando pensiamo che lo spettacolo sia finito, con un misto di sollievo per esserne usciti indenni e dispiacere perché avremmo voluto di più, quest'uomo in mutande, ci trascina fuori dal teatro, e tutti lo seguiamo incantati come i topi del pifferaio di Hamelin, fiduciosi come i piccioni a cui dava da mangiare da bambino in Piazza Duomo a Milano. Quando arriva la polizia ci indigniamo e urliamo "vergogna" perché invece di arrestare i borseggiatori che bazzicano indisturbati sulla Rambla, se la prendono con un uomo ricoperto di miele e piume che ci sta soltanto regalando la scena più poetica alla quale abbiamo avuto l'onore di assistere negli ultimi anni.

venerdì 20 giugno 2014

Chiuso per ferie

Estate, tempo di vacanze, di viaggi, di mete lontane che appaiono finalmente raggiungibili. È da tempo che ci penso, almeno da marzo, quando i primi accenni di primavera mi fanno già agognare il caldo dell'estate. E siccome sono previdente, controllo molti mesi prima di avere tutto a posto per la vacanza che mi aspetta: sotto strati di maglioni e calzettoni di lana vado a stanare il costume che ogni anno mi ostino a  indossare allungando di volta in volta i laccetti sui fianchi, controllo le infradito per assicurarmi che siano lì nel loro scatolo in attesa di essere riesumate, e quando infine è la volta dei documenti, un terribile sospetto mi assale mentre la colonna sonora di Psycho fa da sottofondo all'espressione del mio viso. Sì, il passaporto scade tra 5 mesi, ma visto che sono stata previdente e attenta, ho ancora un bel po' di tempo a disposizione per chiedere il rinnovo. Però non ho fatto i conti con un piccolo particolare, ossia che essendo residente a Barcellona, regolarmente iscritta all'Aire (Anagrafe Italiani residenti all'estero), così come d'obbligo, dovrò inoltrare la richiesta di rinnovo al Consolato. Che com'è noto a chi vive da tempo qui, non si distingue certo per la celerità della sua burocrazia.
Ma fiduciosa e ligia al dovere, seguo scrupolosamente le indicazioni fornite dal sito del Consolato generale d'Italia a Barcellona, che mi propone diverse alternative, tra cui quella di poter sbrigare il tutto personalmente previo appuntamento da prendere on-line. Niente di più facile, se non fosse che risulterà assolutamente IMPOSSIBILE trovare un'ora libera nel calendario del Consolato. Qualcuno mi dice che c'è il trucco: bisogna collegarsi a mezzanotte, e allora, pare si azzerino i contatori e si riesca a trovare uno spazio libero. Macché. Resisto fino allo scoccare dell'ora fatidica e con il dito piú lesto del west faccio il tentativo. Niente da fare. Chiedo supporto a familiari a e amici, magari è un problema del mio navigatore, del mio computer, del mio karma. Niente, l'esito è sempre lo stesso: calendario saturo.
Ma non demordo: la spiaggia caraibica è sempre lì nei miei pensieri, mi sta aspettando. Quindi opto per la seconda opzione: inviare i documenti per posta. Tradizionale, sicura, affidabile raccomandata con ricevuta di ritorno alla quale affido le speranze della mia vacanza. Ma l'incubo della prenotazione on-line si ripresenta anche in questo caso, perché, spiega il sito del Consolato, una volta che avranno ricevuto i miei documenti, mi invieranno un codice con cui dovrò prendere appuntamento on-line per potermi poi recare di presenza negli uffici e rilasciare le impronte digitali, divenute obbligatorie dal 2010.
Stringo i denti e riacchiappo con un lazo immaginario la spiaggia che si sta allontanando sempre di più dai miei orizzonti...Del resto, penso, mancano ancora tre mesi alla partenza, impossibile che in tutto questo tempo non si possa sbrigare questo genere di pratica. Ma dando ascolto ai miei timori e oscuri presentimenti, passato più di 1 mese dall'invio della documentazione, durante il quale non ho ricevuto assolutamente nulla, entro nuovamente nel sito del Consolato e leggo questo inquietante annuncio, che giuro sui figli del console, fino all'ultima volta non c'era:
"SI RACCOMANDA AI RICHIEDENTI IL PASSAPORTO CHE OPTANO PER L’INVIO DELLA RICHIESTA PER POSTA o tramite la rete dei Consolati Onorari, DI EFFETTUARLO CON CONGRUO ANTICIPO RISPETTO ALLA DATA DI SCADENZA DEL DOCUMENTO (PREFERIBILMENTE 6 MESI)."
Sei mesi. Queste parole rimbombano nella mia testa e il loro rumore è uno tsunami che inonda la mia meravigliosa spiaggia caraibica fino a farla scomparire del tutto.
Continuo a leggere:
"AVVERTIAMO L’UTENZA CHE, STANTE L’ELEVATA RICHIESTA, I POSTI DISPONIBILI PER LA FASE FINALE TENDONO AD ESAURIRSI IN UN BREVE INTERVALLO DI TEMPO."
Fase finale? Ma che è? Amici di Maria de Filippi? Mi chiederanno un balletto o una canzone per poter avere quello di cui ho diritto come ogni cittadino, e in tempi che possibilmente non prevedano due cambi di stagione? Ma contro la burocrazia, purtroppo, c'è poco da fare, e se volessi fare un reclamo, anche in quel caso dovrei prendere appuntamento on-line.
Mentre saluto con un fazzoletto bianco la ballerina hawaiana sopravvissuta allo tsunami che ha ingoiato la mia spiaggia, mi riprometto che la tra 10 anni, alla prossima scadenza del mio documento, farò in modo di aver già chiesto la nazionalità spagnola.

p.s. ogni riferimento a persone e fatti realmente esistiti è totalmente ispirato a Ilaria.

venerdì 28 marzo 2014

Il cliente ha sempre ragione. Parte 7: Il cliente multi-task

Ricordate la pubblicità della Omnitel, quella in cui Megan Gale con in mano un cellulare delle dimensioni di un citofono scalava vette altissime e grattacieli di mille piani per poter fare una telefonata?
A me è sembrata sempre una pubblicità poco azzeccata, perché mi lasciava intendere che per per avere "campo" con questa compagnia telefonica, dovevi come minimo salire in cima all'Everest.

Ma credo che la maggior parte della gente, magari meno scettica di me, l'abbia presa da ispirazione per effettuare le proprie chiamate dai luoghi piú impervi e improbabili. E ovviamente il cliente del call center non fa eccezione.

Ed è così che nel bel mezzo di un'escursione nella foresta amazzonica o mentre sta sturando il lavandino del bagno o sta affondando nelle sabbie mobili, gli viene in mente che potrebbe risolvere quel dubbio che gli sta tanto a cuore, chiamando il suo call center di fiducia.

Tra l'altro approfitta delle di solito lunghe attese per portarsi avanti con suddette attività, e quando finalmente riesce a prendere la linea e sente la vostra voce pimpante e disponibile chiedere in cosa possiate aiutarlo, vi dice trafelato: "Un momento, un momento!" come se aveste aperto all'improvviso la porta del suo bagno e l'aveste beccato con i pantaloni a mezza coscia.
Pazientate alcuni istanti, durante i quali sentite ogni tipo di rumori che cercate di identificare: folate di vento, esplosioni in lontananza, ruggiti feroci o pianti di bambini.
Ma mai, mai, silenzio e tranquillità. Forse il cliente sceglie proprio questi momenti per chiamare il call center per avere un conforto mentre viene inghiottito dal fango o per condividere la sua soddisfazione quando infine sarà riuscito a disincagliare il gomitolo di peli dallo scarico del lavandino.

Ma questo non lo sapremo mai, perché dopo alcuni minuti, sarà lui stesso che sbuffando vi dirà che richiamerà più tardi.

E potete stare certi che la prossima volta aspetterà come minimo di essere attaccato da un orso feroce prima di ricomporre il numero.

venerdì 14 febbraio 2014

La ruota della fortuna

L'Italia ormai non si distingue nel mondo per i suoi marchi prestigiosi, che abbiamo svenduto all'estero, o per la cultura, anche questa cacciata via dal Bel Paese a colpi di libri di Volo e Moccia. Nemmeno per il cibo possiamo più inorgoglirci,  visto che spacciamo per made in Italy l'olio spagnolo e lasciamo marcire le arance siciliane per mangiare quelle marocchine.

Quello per cui siamo famosi ultimamente è invece una nuova specialità, che consiste nel far cadere il governo. E stiamo diventando talmente esperti che potrebbero anche concederci il marchio doc per questo prodotto nazionale.

È vero che negli ultimi anni in Italia l'anomalia è diventata la norma, l'eccezione si è trasformata in regola e abbiamo imparato a vivere in un un costante stato di precarietà. Ma anche così non possiamo non renderci conto che non è normale che gli ultimi due governi-ed evidentemente non ci sarà due senza tre- ci siano stati imposti senza che nessuno li abbia votati.

Facciamo attenzione, perché si suppone che in Italia la forma di governo sia ancora la democrazia, e questa, da dizionario, è la "forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo, il quale la esercita per mezzo di rappresentanti liberamente eletti, con libera opposizione delle minoranze e nell'ambito della legge".

Dove sono in questo caso i rappresentanti liberamente eletti?
Dov'è il popolo?
Dove siamo noi e il nostro diritto al voto?

Inutile dire che Renzi non mi piace: a parte i suoi trascorsi alla Ruota della Fortuna, reputo molto pericolose le sue affinità elettive con Berlusconi. E nemmeno mi convincono le larghe intese, che in Italia stanno diventando molto più che semplici accordi e compromessi: stanno diventando conformità, e questo porta come conseguenza inevitabile che non ci sia più distinzione tra i partiti, tra le ideologie, tra i princípi.

Se finora si limitavano ad ignorare la voce delle piazze, adesso vogliono zittire anche quella delle urne: facciamo molta attenzione, perché di questo passo il nostro futuro dipenderà da come gira la ruota della fortuna del politico di turno.

giovedì 23 gennaio 2014

La vera bellezza

Negli ultimi tempi il film "La grande bellezza" è sulla bocca di tutti: esperti e non, autorevoli critici e semplici cinefili, hanno vivisezionato e analizzato la pellicola mettendola sotto la lente d'ingrandimento per cercare di spulciarne significati reconditi, riferimenti, messaggi. E chi ha creduto di trovare qualcosa di tutto questo, l'ha osannata come grande capolavoro, quelli che invece sono tornati a mani vuote dalla loro ricerca, l'hanno liquidata come pretenziosa e inconcludente.
A parte che non credo sia sempre necessario cercare dei riferimenti che giustifichino la bontà o la legittimità di un'opera (i più hanno chiamato in causa Fellini e la sua Dolce Vita, ma c'è chi ha scomodato persino Céline e il suo viaggio al termine della notte), io nella mia beata ignoranza mi sono limitata a godermi la poesia malinconica di questo film, espressa magnificamente non solo dalle immagini, ma soprattutto dalle parole. Perfettamente costruite, cesellate come piccoli gioielli, fortemente musicali e suggestive, con un potere evocativo capace di riportare alla memoria ricordi e sensazioni forse neanche vissuti per davvero, ma talmente forti da sembrare reali. 
Per esempio quando il protagonista dice: "Quando, da giovane, mi chiedevano: cosa c'è di più bello nella vita? E tutti rispondevano: "la fessa!", io solo rispondevo: "l'odore delle case dei vecchi". Ecco, a me è tornata in mente l'infanzia, quelle domeniche lunghe a casa dei nonni, quelle giornate che cominciavano poco prima di pranzo e lente e indolenti si trascinavano fino al tramonto. Quando dopo mangiato la casa rimaneva in silenzio e il mondo era nostro perché non c'erano i grandi a controllarci. Avremmo potuto fare tutto, ma in realtà non facevamo assolutamente nulla, se non goderci il momento. E la poesia per me sta proprio qui, nell'attesa di qualcosa che non arriva, rimandata sempre perché in realtà non la si aspetta.
E nello stesso modo ho vissuto questo film, momento per momento, scena per scena, senza cercare necessariamente un climax che infatti non arriva, neanche nei momenti più drammatici. Per questo, chi s'aspetta azione e una "classica" trama, molto probabilmente rimarrà deluso da "La grande bellezza". Chi invece ricorda ancora il mesto tardare del tempo di quelle domeniche lunghe a casa dei nonni, lo apprezzerà profondamente.

mercoledì 15 gennaio 2014

Il cliente ha sempre ragione. Parte 6: Il cliente scettico

Avete presente quando vi sembra di aver già visto un viso, annusato un profumo, vissuto una situazione, sentito una voce? Ecco, se lavorate in un call center, di voci ne sentite a decine, alcune volte anche centinaia al giorno, ed è difficile che in questo caos vocale vi ricordiate un timbro, un tono, un accento. Nella vostra testa si crea un vortice di rumori che chi non ha mai lavorato in un call center può provare a ricreare comodamente a casa propria accendendo la Tv a tutto volume su una puntata di "Uomini e donne" mentre un bambino piange nella stessa stanza e un operaio martella fuori dalla finestra.

Ma non è tanto ascoltare le voci, che per quello ci sono già i medium. No, il problema è che a quelle voci bisogna anche dare delle risposte, e che siano non dico perfette, ma quanto meno coerenti e credibili, chè la supercazzola con scappellamento a destra al massimo la potete rifilare al povero sprovveduto che chiama giusto un secondo prima dell'orario di chiusura del servizio.

Alla fine della vostra giornata di lavoro avrete parlato talmente tanto che vi ritroverete la lingua felpata alla Fantozzi, e anche se avrete la soddisfazione di accendervi la sigaretta sfregandovi il fiammifero sulla lingua zigrinata, potete scommetterci che il filtro vi rimarrà appiccicato al labbro inferiore e dovrete scollarvelo via con tantissimo dolore...

Ma nonostante abbiate perso tutta la vostra saliva prodigandovi per fornire ai clienti le risposte e le soluzioni migliori, troverete sempre l'eterno insoddisfatto che non si accontenta della vostra parola. Lo scettico, quello che proprio non si fida, quello che crede che avreste potuto fare di meglio, o che comunque vuole un secondo parere, nemmeno gli avessero diagnosticato un cancro terminale.

E questo è il cliente che richiama. Immemore dell'odissea poc'anzi affrontata per riuscire a prendere la linea, impavido e ostinato ricompone il numero e si rituffa nel flusso delle chiamate, sfida nuovamente la voce registrata e l'enigma dei numeri da digitare, e sulla melodia della musichetta avanza fiducioso nel tunnel dell'attesa come un salmone che risale la corrente. E alla fine ce la fa, perché il cliente rompipalle ha sempre un canale preferenziale, e manco a dirlo, ribecca voi, perché tra l'operatore e il cliente si crea un'inspiegabile affinità elettiva che genera un campo elettromagnetico speciale che immancabilmente lo farà tornare, manco fosse Lassie, soprattutto quando si tratta di un rompiscatole o di un maleducato.

E nonostante abbiate parlato con altre 99 persone, quella voce la riconoscete subito, mentre lui no, ignaro e innocente, afferma di volere solo un'informazione, guarda caso la stessa che voi gli avete dato nemmeno un'ora prima. E allora lo lasciate parlare, spiegare per l'ennesima volta, giocate un po' con lui come fa il gatto con il topolino. Aspettate il momento giusto per sferrare l'attacco e smascherarlo: "Ma lei, Signor/Signora X, non ha chiamato poco fa?". A questo punto il cliente scettico è alle strette, deve scegliere rapidamente la strategia di difesa: fare la figura del vile miscredente o negare l'evidenza? La scelta è ardua, e dopo un attimo di tentennamento, poco prima di battere in ritirata, vi stordisce chiedendo:"Prematurata la supercazzola o scherziamo?"