giovedì 23 gennaio 2014

La vera bellezza

Negli ultimi tempi il film "La grande bellezza" è sulla bocca di tutti: esperti e non, autorevoli critici e semplici cinefili, hanno vivisezionato e analizzato la pellicola mettendola sotto la lente d'ingrandimento per cercare di spulciarne significati reconditi, riferimenti, messaggi. E chi ha creduto di trovare qualcosa di tutto questo, l'ha osannata come grande capolavoro, quelli che invece sono tornati a mani vuote dalla loro ricerca, l'hanno liquidata come pretenziosa e inconcludente.
A parte che non credo sia sempre necessario cercare dei riferimenti che giustifichino la bontà o la legittimità di un'opera (i più hanno chiamato in causa Fellini e la sua Dolce Vita, ma c'è chi ha scomodato persino Céline e il suo viaggio al termine della notte), io nella mia beata ignoranza mi sono limitata a godermi la poesia malinconica di questo film, espressa magnificamente non solo dalle immagini, ma soprattutto dalle parole. Perfettamente costruite, cesellate come piccoli gioielli, fortemente musicali e suggestive, con un potere evocativo capace di riportare alla memoria ricordi e sensazioni forse neanche vissuti per davvero, ma talmente forti da sembrare reali. 
Per esempio quando il protagonista dice: "Quando, da giovane, mi chiedevano: cosa c'è di più bello nella vita? E tutti rispondevano: "la fessa!", io solo rispondevo: "l'odore delle case dei vecchi". Ecco, a me è tornata in mente l'infanzia, quelle domeniche lunghe a casa dei nonni, quelle giornate che cominciavano poco prima di pranzo e lente e indolenti si trascinavano fino al tramonto. Quando dopo mangiato la casa rimaneva in silenzio e il mondo era nostro perché non c'erano i grandi a controllarci. Avremmo potuto fare tutto, ma in realtà non facevamo assolutamente nulla, se non goderci il momento. E la poesia per me sta proprio qui, nell'attesa di qualcosa che non arriva, rimandata sempre perché in realtà non la si aspetta.
E nello stesso modo ho vissuto questo film, momento per momento, scena per scena, senza cercare necessariamente un climax che infatti non arriva, neanche nei momenti più drammatici. Per questo, chi s'aspetta azione e una "classica" trama, molto probabilmente rimarrà deluso da "La grande bellezza". Chi invece ricorda ancora il mesto tardare del tempo di quelle domeniche lunghe a casa dei nonni, lo apprezzerà profondamente.

mercoledì 15 gennaio 2014

Il cliente ha sempre ragione. Parte 6: Il cliente scettico

Avete presente quando vi sembra di aver già visto un viso, annusato un profumo, vissuto una situazione, sentito una voce? Ecco, se lavorate in un call center, di voci ne sentite a decine, alcune volte anche centinaia al giorno, ed è difficile che in questo caos vocale vi ricordiate un timbro, un tono, un accento. Nella vostra testa si crea un vortice di rumori che chi non ha mai lavorato in un call center può provare a ricreare comodamente a casa propria accendendo la Tv a tutto volume su una puntata di "Uomini e donne" mentre un bambino piange nella stessa stanza e un operaio martella fuori dalla finestra.

Ma non è tanto ascoltare le voci, che per quello ci sono già i medium. No, il problema è che a quelle voci bisogna anche dare delle risposte, e che siano non dico perfette, ma quanto meno coerenti e credibili, chè la supercazzola con scappellamento a destra al massimo la potete rifilare al povero sprovveduto che chiama giusto un secondo prima dell'orario di chiusura del servizio.

Alla fine della vostra giornata di lavoro avrete parlato talmente tanto che vi ritroverete la lingua felpata alla Fantozzi, e anche se avrete la soddisfazione di accendervi la sigaretta sfregandovi il fiammifero sulla lingua zigrinata, potete scommetterci che il filtro vi rimarrà appiccicato al labbro inferiore e dovrete scollarvelo via con tantissimo dolore...

Ma nonostante abbiate perso tutta la vostra saliva prodigandovi per fornire ai clienti le risposte e le soluzioni migliori, troverete sempre l'eterno insoddisfatto che non si accontenta della vostra parola. Lo scettico, quello che proprio non si fida, quello che crede che avreste potuto fare di meglio, o che comunque vuole un secondo parere, nemmeno gli avessero diagnosticato un cancro terminale.

E questo è il cliente che richiama. Immemore dell'odissea poc'anzi affrontata per riuscire a prendere la linea, impavido e ostinato ricompone il numero e si rituffa nel flusso delle chiamate, sfida nuovamente la voce registrata e l'enigma dei numeri da digitare, e sulla melodia della musichetta avanza fiducioso nel tunnel dell'attesa come un salmone che risale la corrente. E alla fine ce la fa, perché il cliente rompipalle ha sempre un canale preferenziale, e manco a dirlo, ribecca voi, perché tra l'operatore e il cliente si crea un'inspiegabile affinità elettiva che genera un campo elettromagnetico speciale che immancabilmente lo farà tornare, manco fosse Lassie, soprattutto quando si tratta di un rompiscatole o di un maleducato.

E nonostante abbiate parlato con altre 99 persone, quella voce la riconoscete subito, mentre lui no, ignaro e innocente, afferma di volere solo un'informazione, guarda caso la stessa che voi gli avete dato nemmeno un'ora prima. E allora lo lasciate parlare, spiegare per l'ennesima volta, giocate un po' con lui come fa il gatto con il topolino. Aspettate il momento giusto per sferrare l'attacco e smascherarlo: "Ma lei, Signor/Signora X, non ha chiamato poco fa?". A questo punto il cliente scettico è alle strette, deve scegliere rapidamente la strategia di difesa: fare la figura del vile miscredente o negare l'evidenza? La scelta è ardua, e dopo un attimo di tentennamento, poco prima di battere in ritirata, vi stordisce chiedendo:"Prematurata la supercazzola o scherziamo?"