venerdì 30 agosto 2013

Autumn in Barcelona

L'estate dura troppo poco, sono arrivata alla conclusione che ogni anno dura sempre di meno. Ormai lontane quelle lunghissime estati che cominciavano a giugno se non addirittura a fine maggio, le ultime interrogazioni a scuola sancivano inequivocabilmente l'inizio della bella stagione e della libertà. Che durava fino a settembre inoltrato. Le giornate erano talmente lunghe che il sonno non sembrava nemmeno uno spreco.
Lontane quelle estati, adesso si riducono a qualche settimana boccheggiante che mi fa rimpiangere il fresco della primavera e agognare l'autunno. Che poi arriva davvero, troppo presto, e inesorabile avanza con le sue ombre sempre più lunghe, e senza darmi il tempo di rendermene conto eccolo lì, che comincia a riempire di foglie secche i marciapiedi, e l'angolo della strada dove ogni mattina mi fermo al semaforo rosso, e in cui fino a un paio di settimane fa dovevo ripararmi gli occhi dal sole accecante, adesso è già all'ombra...

Sulla strada che percorro ormai da più di un mese per andare al lavoro, vedo ogni mattina le stesse persone, ogni giorno sempre più coperte. Cominciano a tirar fuori i pantaloni, qualche giacchetta e a volte osano pure una scarpa chiusa. Io mi ostino con i miei sandaletti vecchi e traballanti, memori di tante estati, e maniche corte sempre, fino a che il calendario non mi dirà che è ora di smetterla.

Perché in fondo ciò che conta è la consapevolezza. Finché non ti fermi a riflettere e acquisisci coscienza, potrebbe continuare ad essere estate, e l'autunno potrebbe restare lì a bussare quanto vuole, ma fin quando non decidi tu deve starsene buono ad aspettare dietro l'angolo.
E sarebbe ancora estate, almeno per un altro po'. L'autunno mi fa pensare alla vecchiaia, mi fa riflettere che ancora un altro anno è passato, e che io sto invecchiando in una città che non è mia. E chissà se quando sarò davvero vecchia proverò a tornare alle mie origini, al mio passato, come il personaggio dell'ultimo libro che ho letto: "Il fantasma esce di scena" di uno dei miei autori preferiti, Philip Roth. Il protagonista è un anziano scrittore che dopo aver vissuto per lungo tempo in un isolamento bucolico ma forzato, ad un certo punto torna a New York pensando di poter recuperare un passato che però si renderà conto essersi sbriciolato e andato perduto per sempre, mentre lui si nascondeva dalla vita.
Ed è allora che acquisisce la consapevolezza di essere vecchio, di essere "non più", invece di "non ancora". La malattia, la perdita di memoria, la decadenza fisica che fino a quel momento era riuscito più o meno a tenere a bada, prendono il sopravvento, e allora dovrà rassegnarsi alla consapevolezza che il passato è perduto per sempre.
Il punto probabilmente è riuscire ad accettare ciò che si è, senza rimpiangere quello che si è stati e senza angosciarsi per ciò che ci aspetta. In questo senso preferisco l'atteggiamento del protagonista di un altro bellissimo libro, "Follie di Brooklyn" di Paul Auster: anche in questo caso torna alla città dopo tanti anni, ma lungi dal voler recuperare il passato, vive alla giornata ciò che il presente ha da offrirgli. E quando meno se lo aspetta, senza pretese e senza troppe illusioni arriva anche un tardivo amore, con una relazione che l'autore descrive con alcune delle parole più belle che abbia mai letto:
"Joyce e io non eravamo ancora al dicembre della vita, ma senza dubbio maggio decisamente era alle nostre spalle. Noi due insieme eravamo come un pomeriggio della seconda metà di ottobre, uno di quei luminosi giorni d'autunno sotto un cielo azzurro vivido, refoli frizzanti nell'aria e un milione di foglie ancora sui rami...marrone perlopiù, ma con ancora abbastanza ori e rossi e gialli per farti venir voglia di restare all'aperto il più a lungo possibile." 

E allora io, anche se ho la pelle d'oca, ho deciso che fino a metà ottobre la giacchetta non me la metto...

mercoledì 7 agosto 2013

Alla salute...?

Questa volta mi limiterò a raccontare ciò che è successo senza dare giudizi nè fare critiche. O almeno ci provo, vediamo come viene:
Lunedì 5 agosto ore 10:58. Cap (Centro de Atención Primaria) di Barcellona:
Mio marito si reca all'appuntamento preso con la sua dottoressa tramite internet un paio di giorni prima.
Arrivato davanti alla porta si accorge che la dottoressa non riceve più lì, ha cambiato stanza. Ma non fa in tempo a cercare con lo sguardo la nuova ubicazione che vede andargli incontro la dottoressa stessa. Nervosa, visibilmente arrabbiata. Non ce l'ha con lui, ovviamente. Ce l'ha con chi a suo avviso non ha indicato bene il cambio di stanza. E per evitare che i suoi pazienti non la trovino o si perdano o si sentano abbandonati, lei li va a cercare nei pressi della vecchia stanza, pensando che magari sentano ancora lì il suo odore, il suo calore. E probabilmente ha ragione, l'avrà lasciato davvero il suo calore umano, se si preoccupa di fare una cosa del genere.
E così anziché starsene comodamente seduta nella sua stanza e affacciarsi per urlare il nome del paziente successivo, la bionda e simpatica dottoressa piena di collanine e braccialetti colorati, si fa il giro del piano per recuperare i figlioli prodighi.
Mercoledì 9 agosto ore 14:30. Ospedale di Caltagirone:
Mia nonna si reca all'appuntamento - preso tre mesi fa- per il controllo cardiologico. La accompagnano i miei genitori, e una volta arrivati in ospedale, i tre si aggirano per i corridoi vuoti alla ricerca di un cartello, una persona, una mollichina di pane che indichi loro il cammino. Quando sono sul punto di perdere le speranze trovano un'anima pia: la signora delle pulizie, nonché vicina di casa di mia nonna, che si offre di accompagnarli per il tortuoso labirinto fino alla porta del cardiologo. In attesa nel corridoio altre tre persone, tutte ultraottantenni come mia nonna, ma visto che non voglio fare polemica, non insinuerò il fatto che sia balordo se non omicida dare appuntamenti a persone di una certa età a quell'ora del pomeriggio in un torrido agosto siciliano...e quindi andiamo avanti.
Bisogna prendere il numero. E come abbiamo imparato a fare dal macellaio e alla posta si cerca la macchinetta che li distribuisce. Ma no, all'ospedale hanno pensato bene di sostituirla con un comodo cestino in cui riposano pezzi di cartoncino con sopra scritti dei numeri. Cartoncini usati e riutilizzati, passati di mano in mano, di sudore in sudore e magari ci sarà stato anche qualcuno che si sarà scaccolato...ma come promesso, nessuna critica, andiamo avanti.
Con il cartoncino umidiccio in mano i nostri tre eroi si siedono ad aspettare. Alle tre meno un quarto non si vede ancora nessuno. Passano i minuti e finalmente alle tre arriva un'infermiera, accolta dagli astanti come la visione di un'oasi nel deserto. Lei impassibile li guarda e chiede: "Siete qui per cardiologia?" 
Io fossi stata in mia nonna avrei risposto che no, sotto la gonna nera ho un due pezzi fighissimo e in realtà sto facendo la fila per fare un tuffo in piscina. Ma i tre baldi rispondono che sì, che sono là proprio per quel motivo.
L'infermiera si chiude nella stanza, e quando dopo un paio di minuti viene fuori nuovamente, anziché chiamare il primo paziente, annuncia flemmatica che il dottore è in ferie.
A questo punto i nostri prodi, increduli e indignati, esprimono le loro rimostranze circa il fatto che le ferie non si programmano il giorno stesso, circa il fatto che un medico (come chiunque altro) dovrebbe avere chi lo sostituisce, circa il fatto che tutta quella gente stava aspettando lì da più di mezz'ora rischiando di schiattare per il caldo atroce, e circa il fatto che sarebbe anche una questione di principio e di civiltà non essere trattati come delle ....ops, ho promesso di non esprimere giudizi, e non lo farò. Mi atterrò ai fatti: a questo punto l'infermiera ritiene che non sia un suo problema: alza le spalle e rientra nella stanza, forse temendo che i ringalluzziti ottantenni, magari aizzati dai miei genitori più giovincelli, possano montare una ribellione e fare di lei il capro espiatorio. Ma in realtà no, i vecchini e i miei genitori sono molto educati, e decidono di procedere per le vie civili: mio padre prende il telefono e chiama i carabinieri per denunciare il fatto. E i carabinieri effettivamente si mostrano colpiti e solidali, e assicurano che se avessero i mezzi per spostarsi, andrebbero sicuramente in ospedale a raccogliere la denuncia.

Questo è ciò che è successo, a distanza di pochi giorni e in due paesi neppure troppo lontani. Ma come promesso, stavolta niente giudizi, niente critiche, solo un altro fatto: 

Una ragazza è morta di parto in attesa di un elisoccorso che non è mai arrivato, in un ospedale non attrezzato per assisterla.
Agosto 2013, Nicosia, Sicilia, Italia.