giovedì 12 dicembre 2013

L'ultimo bacio

Ecco, era da un po' che sulle pagine dei quotidiani nazionali non risuonava una notizia talmente priva di senso, di credibilità, di logica, che temevo quasi che l'Italia stesse diventando un paese normale. Stavo leggendo con interesse e speranza le gesta dei Forconi, che sembrano star riuscendo a scuotere piazze e
coscienze, nonostante il presidente si ostini a sottovalutarli e a non reputarli rappresentativi dell'intero paese. Ma fossi in lui mi guarderei bene dall'auspicare una rivolta generale, considerando che se davvero scendessero in piazza i rappresentanti di ogni categoria, si ritroverebbe anche macellai, personal trainer, spadaccini, cacciatori e domatori di tigri, insomma gente che per mestiere è abituata a maneggiare attrezzi pericolosi e ad avere fisici ben allenati. E comunque, anche solo i forconi, se ben appuntiti, possono far male.

Ma non è questo il punto: dicevo, stavo leggendo di forconi, renzi e grilli vari, quando la mia attenzione è stata carpita da un titolo surreale: "La No Tav che baciò un poliziotto denunciata per violenza sessuale" . Che a pensarci bene potrebbe essere il titolo di un film della Wertmüller...se solo fosse accaduto nell'azzurro mare d'agosto...perché poi gli altri ingredienti ci son tutti: c'è l'insolito destino e il poliziotto, che come Mimì Metallurgico, si è sentito ferito nell'onore.
Ma a parte le reminiscenze cinematografiche, ciò che mi sembra surreale è associare un bacio (e quel tipo di bacio, che tutti abbiamo visto, immortalato sulle prime pagine dei giornali) al reato di violenza sessuale. E per fare chiarezza è meglio attenersi ai fatti, anzi alle parole. E queste sono quelle che recita il codice penale in materia di reato di violenza sessuale:
"Art. 609-bis.
Violenza sessuale:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto
;"
A tal proposito mi sembra che il poliziotto in questione fosse nel pieno delle sue facoltà fisiche. Su quelle mentali non ho la possibilità di confermare.
"2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona."
È evidente che in quel frangente la ragazza era stata momentaneamente sostituita da una ninfomane: è risaputo che davanti a questa specie di donna il maschio fugge spaventato e inorridito.

Ma passiamo alle aggravanti, perché la ragazza rischia grosso. Infatti:
"La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all'articolo 609-bis sono commessi:
1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
"
Ma anche se giovane, il poliziotto ha superato da un pezzo l'età per il patentino;
"2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;"
A meno che la ragazza non fosse afflitta da alitosi, pare che anche per le sostanze stupefacenti non ci sia aggravante;
"3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;"
La divisa la indossava lui, non lei;
"4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;"
Anche in questo caso, a parte il casco, sembra che la vittima non avesse ulteriori limitazioni;
"5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore."
Come sopra, nonostante la giovane età, diamo per certo che il poliziotto al momento del fatto avesse più di 16 anni. In caso contrario resterebbe da verificare che la ragazza non sia in realtà la sua mamma adottiva.

E adesso vediamo alcune definizioni di "bacio":
-dizionario Hoepli: "atto di amore, di affetto, di devozione o di deferenza che si compie accostando le labbra a qualcuno o a qualcosa, talvolta facendole schioccare";
-vocabolario Treccani: "atto compiuto applicando le labbra e premendole, per un tempo più o meno lungo, su persona o cosa in segno di amore, venerazione, affetto, devozione";
-Edmond Rostand (sì, lui, non la Perugina): "un apostrofo rosa fra le parole t'amo, un segreto detto sulla bocca."

Tutte cose belle, insomma: amore, affetto, devozione. Anche se poi la ragazza in questione ha detto che i poliziotti sono dei porci da appendere a testa in giù...ma questa è un'opinione sua personale più o meno condivisibile.

Ma per essere corretti e imparziali, vanno annoverati anche altri tipi di baci: c'è infatti anche il bacio dei mafiosi, che serve per suggellare patti e alleanze ma anche per condannare a morte un nemico. Ma in questo caso non sono state notate somiglianze della ragazza né con Riina né con Andreotti, pertanto il poliziotto non dovrebbe temere in tal senso; e c'è poi il bacio di Giuda, ma a meno che il poliziotto non ritenga di essere il messia, anche in questo caso, non dovrebbe porsi il problema.

E comunque, augurandomi che un paese serio non permetta che venga portata avanti una simile sciocchezza, vorrei dare un consiglio alla ragazza e uno al poliziotto: a lei, che la smettesse di baciare sconosciuti, che prima o poi si beccherà la mononucleosi. E a lui, che la prossima volta si tolga il casco, e si goda il momento.

sabato 9 novembre 2013

Andremo tutti all'inferno

Ieri sul quotidiano digitale ElDiario.es, ho letto un articolo scritto dalla giornalista e scrittrice barcellonese Maruja Torres, che mi ha profondamente scosso.

L'autrice immagina, e si augura, che in un futuro nemmeno troppo lontano, qualcuno - i nostri figli o nipoti- ci chiederà se fossimo al corrente di tutti i morti nel mare di Lampedusa, o del trattamento riservato a chi da quel mare fosse riuscito a scampare; o se sapessimo che nelle reti di recinzione di Ceuta e Melilla venissero apposte delle lame per evitare che la gente le scavalcasse. Sì, gente, non bestie feroci.

Cosa risponderemo? Che sì, che sapevamo tutto, e che siamo stati a guardare, e a volte quando le immagini erano troppo forti abbiamo abbassato gli occhi sul piatto, che si sa, queste cose vengono servite sempre a ora di cena, quando la gente tra un'insalata e una fettina di carne ha già dimenticato tutto, e a volte cambiando canale, che i giochi a quiz o una bella serie tv causano meno acidità

Ma anche se abbiamo spento la tv o chiuso  il giornale ormai non possiamo fare finta di niente. Sappiamo. Taciamo. E quindi: acconsentiamo? 

Maruja Torres non usa mezzi termini, e ci paragona agli onorabili tedeschi che quando vedevano l'aria piena di cenere proveniente dai forni crematori fingevano di credere che si trattasse di un nuovo sistema di riscaldamento.
E quando ho letto queste parole, mi sono fermata e ho dovuto trattenere le lacrime. Ma non si trattava di lacrime di rabbia o di tristezza, no, quelle sono facili, già le spreco durante la cena davanti alla tv. Questa volta erano lacrime di vergogna.

Perché è vero, stiamo facendo la stessa identica cosa. Guardiamo. Sappiamo. Taciamo. E quindi: acconsentiamo. E se non ricordo male, Dante gli ignavi li mette nell'antinferno, che non si meritano neppure di bruciare all'inferno...

giovedì 10 ottobre 2013

We were beat. Due libri (più o meno) interrotti

Sono sicura che molti non saranno d'accordo con me e diranno che non capisco nulla di letteratura. Probabile, ma non posso farci niente, andando contro i nostalgici del "beat" e forse un po'anche del trash, devo ammettere che non sono riuscita a portare a termine la lettura di "Pasto nudo" di William Burroughs. E pensare che ai tempi del liceo divoravo Henry Miller, che con la trilogia Sexus-Plexus-Nexus, e con Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno mi fece scoprire che esiste un modo di scrivere al di là della consecutio temporum che è pur sempre logico, solo su un piano diverso; e "On the road" che mi fece sognare di partire e non tornare mai più, o quanto meno solo quando avessi avuto il bagaglio necessario per scrivere un libro; e quello sporcaccione di Bukowsky, che mi portò a litigare con il bibliotecario che non voleva darmi in prestito "Compagno di sbornie" perché ero ancora minorenne.

E non credo di essere diventata una puritana rispetto alla mia adolescenza o di aver cambiato eccessivamente gusti letterari: amo ancora la letteratura americana, apprezzo Charlie (anche se non lo mitizzo) e ricordo con affetto il caro Henry (oddio, mi sa che sì, sono cambiata parecchio..!). No, a parte gli scherzi: non so dire se la lettura di "Pasto Nudo" mi abbia infastidito o semplicemente annoiato terribilmente. Fatto sta che ho resistito fino a poco oltre la metà del libro, ma poi ho dovuto rinunciare, non sono riuscita ad andare avanti. Non so se attribuire la responsabilità al fatto che ad ogni pagina spuntano peni in perenne erezione, o scene di sesso violento e morboso ai limiti del macabro, o siringhe che bucano vene in ogni parte del corpo lasciando aperte voragini incancrenite. O perché tutte queste cose mi sono sembrate talmente fini a se stesse e prive di un senso da risultare totalmente gratuite e perciò sgradevoli.

È probabile che io di letteratura ne capisca poco, ma quello che so è che in un libro cerco qualcosa, e non necessariamente una storia o un senso, ma comunque qualcosa che mi rimanga al di là delle pagine. E da questo punto di vista ho trovato "Pasto nudo" profondamente egoista, un libro che non lascia nulla: è solo una masturbazione mentale dell'autore che sotto l'effetto delle droghe più allucinanti e allucinogene ha dato sfogo a tutti i suoi mostri e alle sue oscene fantasie.

Ma inconsciamente gli sto concedendo ancora una speranza (o me la sto concedendo io?), e anziché riporlo nuovamente nella mensola della libreria, l'ho lasciato sul tavolino basso accanto al divano, a portata di mano...

Nel frattempo, per "disintossicarmi" ho cominciato a leggere l'ultimo libro che ho comprato: "La casa de los amores imposibles" di Cristina Lopez Barrio. Colpa mia, lo so, il titolo avrebbe dovuto avvisarmi, ma la copertina è talmente bella che mi sono lasciata ingannare, e ci sono cascata. Fin dalle prime pagine mi sono resa conto che si tratta di una storia d'amore "pura y dura", e sospetto anche molto molto banale, senza uno struggente sfondo andelliano o quantomeno uno spunto sociale o una buona contestualizzazione storica. E che male c'è? direte voi. È vero, non c'è nulla di  male in un libro che racconta una storia d'amore, ma che volete, il mio passato beat mi ha reso allergica a questo tipo di letteratura. E mi sa che anche questo sarà un libro interrotto, ma stavolta non gli concederò il beneficio del tavolino: questo se ne torna dritto dritto sulla mensola della libreria.

martedì 17 settembre 2013

Il cliente ha sempre ragione. Parte 5: Il cliente melomane

Certi giorni sembra che i clienti si mettano d'accordo per chiamare tutti alla stessa ora, nello stesso identico istante, come se all'improvviso ricevessero una chiamata dall'alto o un istinto primordiale li spingesse irresistibilmente verso il telefono e li invogli a comporre il numero del call center. Maledetta la teleselezione e ancor di più i numeri gratuiti! Ed è allora che si forma la famigerata "coda" e nonostante gli avvisi della voce registrata che informa e avvisa e minaccia che l'attesa sarà lunga perchè gli operatori sono tutti occupati, chissá perchè il cliente-tipo non demorde e rimane lì in fremente attesa.

Io ho una mia teoria a riguardo, e chissà che non abbia ragione: la colpa è della musica. La musica dell'attesa è sempre allegra, accattivante, tremendamente orecchiabile...quasi sempre è una delle hit del momento, o comunque uno di quei motivi sempreverdi possibilmente anni ottanta che fanno talmente parte del nostro bagaglio culturale e genetico che alle prime note rievocano immancabilmente ricordi di falò di quattordici anni prima.

E infatti mentre la musichetta suona, il cliente comincia a muovere la testa ritmicamente, e cerca una posizione comoda; dopo un po' batte un piede controtempo e passati 10 minuti ha già imparato a memoria il ritornello. Nel frattempo i suoi sentimenti hanno subìto la seguente evoluzione: disposizione benevola-indifferenza-calma-speranza-formicolio nei piedi- sogni infranti- tic nell'occhio.

E quando finalmente l'ingorgo telefonico si stura, la vostra voce irromperà nelle sue orecchie come quella di dio che gli dice di seguire la luce in fondo al tunnel. Ma lungi da visioni paradisiache, quello che segue è terribilmente reale: "È un'ora che aspetto" esordisce il piú delle volte con tono risentito che pretende delle scuse ufficiali e/o prostrazioni e/o fustigazioni. Mentre voi pensate a quanto sarebbe meglio se dall'altro lato del telefono ci fosse non uno zotico incazzato ma un principe azzurro possibilmente senza calzamaglia a dirvi "è una vita che t'aspetto"...no, sogni infranti anche per voi, torna la voce accusatoria, che a quel punto è oltremodo stizzita perchè con la lunga attesa ha pure dimenticato il motivo per cui ha chiamato.

E allora ve la fará pagare bene quella perdita di tempo: vuole vendetta, la reclama gli spetta e vi terrà lì appesi al telefono fino a quando non avrá placato la sua sete di sangue.
Provate ad ammansirlo con un tono pacato, oggi del resto non avete alcuna voglia di litigare, siete accondiscendenti perchè stamattina vi siete svegliati di buon umore e il caffè era buono e il vicino è stato così gentile da reggervi il portone per lasciarvi passare anzichè sbattervelo in faccia come l'ultima volta. Ma non basta. Qualunque cosa diciate, il cliente è ormai sul piede di guerra, e l'unica arma che avete a disposizione è lì, sulla vostra scrivania, a un clic di distanza: il pulsante dell'attesa. E voi lo immaginate, mentre il pulsantino rosso lampeggia, fremere di rabbia e d'impotenza, ma dopo un paio di minuti la musichetta avrá sortito il suo effetto, e il cliente avrá ricominciato a muovere ritmicamente la testa, battere il piede controtempo e lasciare spazio nella sua memoria ai ricordi di tante estati fa. Quello è il momento giusto per riprenderlo, e una volta ammansito e domato, quando con tono flautato gli chiederete in cosa potete aiutarlo, avrá un'unica domanda da farvi: "Come si intitola la canzone dell'attesa?"

venerdì 30 agosto 2013

Autumn in Barcelona

L'estate dura troppo poco, sono arrivata alla conclusione che ogni anno dura sempre di meno. Ormai lontane quelle lunghissime estati che cominciavano a giugno se non addirittura a fine maggio, le ultime interrogazioni a scuola sancivano inequivocabilmente l'inizio della bella stagione e della libertà. Che durava fino a settembre inoltrato. Le giornate erano talmente lunghe che il sonno non sembrava nemmeno uno spreco.
Lontane quelle estati, adesso si riducono a qualche settimana boccheggiante che mi fa rimpiangere il fresco della primavera e agognare l'autunno. Che poi arriva davvero, troppo presto, e inesorabile avanza con le sue ombre sempre più lunghe, e senza darmi il tempo di rendermene conto eccolo lì, che comincia a riempire di foglie secche i marciapiedi, e l'angolo della strada dove ogni mattina mi fermo al semaforo rosso, e in cui fino a un paio di settimane fa dovevo ripararmi gli occhi dal sole accecante, adesso è già all'ombra...

Sulla strada che percorro ormai da più di un mese per andare al lavoro, vedo ogni mattina le stesse persone, ogni giorno sempre più coperte. Cominciano a tirar fuori i pantaloni, qualche giacchetta e a volte osano pure una scarpa chiusa. Io mi ostino con i miei sandaletti vecchi e traballanti, memori di tante estati, e maniche corte sempre, fino a che il calendario non mi dirà che è ora di smetterla.

Perché in fondo ciò che conta è la consapevolezza. Finché non ti fermi a riflettere e acquisisci coscienza, potrebbe continuare ad essere estate, e l'autunno potrebbe restare lì a bussare quanto vuole, ma fin quando non decidi tu deve starsene buono ad aspettare dietro l'angolo.
E sarebbe ancora estate, almeno per un altro po'. L'autunno mi fa pensare alla vecchiaia, mi fa riflettere che ancora un altro anno è passato, e che io sto invecchiando in una città che non è mia. E chissà se quando sarò davvero vecchia proverò a tornare alle mie origini, al mio passato, come il personaggio dell'ultimo libro che ho letto: "Il fantasma esce di scena" di uno dei miei autori preferiti, Philip Roth. Il protagonista è un anziano scrittore che dopo aver vissuto per lungo tempo in un isolamento bucolico ma forzato, ad un certo punto torna a New York pensando di poter recuperare un passato che però si renderà conto essersi sbriciolato e andato perduto per sempre, mentre lui si nascondeva dalla vita.
Ed è allora che acquisisce la consapevolezza di essere vecchio, di essere "non più", invece di "non ancora". La malattia, la perdita di memoria, la decadenza fisica che fino a quel momento era riuscito più o meno a tenere a bada, prendono il sopravvento, e allora dovrà rassegnarsi alla consapevolezza che il passato è perduto per sempre.
Il punto probabilmente è riuscire ad accettare ciò che si è, senza rimpiangere quello che si è stati e senza angosciarsi per ciò che ci aspetta. In questo senso preferisco l'atteggiamento del protagonista di un altro bellissimo libro, "Follie di Brooklyn" di Paul Auster: anche in questo caso torna alla città dopo tanti anni, ma lungi dal voler recuperare il passato, vive alla giornata ciò che il presente ha da offrirgli. E quando meno se lo aspetta, senza pretese e senza troppe illusioni arriva anche un tardivo amore, con una relazione che l'autore descrive con alcune delle parole più belle che abbia mai letto:
"Joyce e io non eravamo ancora al dicembre della vita, ma senza dubbio maggio decisamente era alle nostre spalle. Noi due insieme eravamo come un pomeriggio della seconda metà di ottobre, uno di quei luminosi giorni d'autunno sotto un cielo azzurro vivido, refoli frizzanti nell'aria e un milione di foglie ancora sui rami...marrone perlopiù, ma con ancora abbastanza ori e rossi e gialli per farti venir voglia di restare all'aperto il più a lungo possibile." 

E allora io, anche se ho la pelle d'oca, ho deciso che fino a metà ottobre la giacchetta non me la metto...

mercoledì 7 agosto 2013

Alla salute...?

Questa volta mi limiterò a raccontare ciò che è successo senza dare giudizi nè fare critiche. O almeno ci provo, vediamo come viene:
Lunedì 5 agosto ore 10:58. Cap (Centro de Atención Primaria) di Barcellona:
Mio marito si reca all'appuntamento preso con la sua dottoressa tramite internet un paio di giorni prima.
Arrivato davanti alla porta si accorge che la dottoressa non riceve più lì, ha cambiato stanza. Ma non fa in tempo a cercare con lo sguardo la nuova ubicazione che vede andargli incontro la dottoressa stessa. Nervosa, visibilmente arrabbiata. Non ce l'ha con lui, ovviamente. Ce l'ha con chi a suo avviso non ha indicato bene il cambio di stanza. E per evitare che i suoi pazienti non la trovino o si perdano o si sentano abbandonati, lei li va a cercare nei pressi della vecchia stanza, pensando che magari sentano ancora lì il suo odore, il suo calore. E probabilmente ha ragione, l'avrà lasciato davvero il suo calore umano, se si preoccupa di fare una cosa del genere.
E così anziché starsene comodamente seduta nella sua stanza e affacciarsi per urlare il nome del paziente successivo, la bionda e simpatica dottoressa piena di collanine e braccialetti colorati, si fa il giro del piano per recuperare i figlioli prodighi.
Mercoledì 9 agosto ore 14:30. Ospedale di Caltagirone:
Mia nonna si reca all'appuntamento - preso tre mesi fa- per il controllo cardiologico. La accompagnano i miei genitori, e una volta arrivati in ospedale, i tre si aggirano per i corridoi vuoti alla ricerca di un cartello, una persona, una mollichina di pane che indichi loro il cammino. Quando sono sul punto di perdere le speranze trovano un'anima pia: la signora delle pulizie, nonché vicina di casa di mia nonna, che si offre di accompagnarli per il tortuoso labirinto fino alla porta del cardiologo. In attesa nel corridoio altre tre persone, tutte ultraottantenni come mia nonna, ma visto che non voglio fare polemica, non insinuerò il fatto che sia balordo se non omicida dare appuntamenti a persone di una certa età a quell'ora del pomeriggio in un torrido agosto siciliano...e quindi andiamo avanti.
Bisogna prendere il numero. E come abbiamo imparato a fare dal macellaio e alla posta si cerca la macchinetta che li distribuisce. Ma no, all'ospedale hanno pensato bene di sostituirla con un comodo cestino in cui riposano pezzi di cartoncino con sopra scritti dei numeri. Cartoncini usati e riutilizzati, passati di mano in mano, di sudore in sudore e magari ci sarà stato anche qualcuno che si sarà scaccolato...ma come promesso, nessuna critica, andiamo avanti.
Con il cartoncino umidiccio in mano i nostri tre eroi si siedono ad aspettare. Alle tre meno un quarto non si vede ancora nessuno. Passano i minuti e finalmente alle tre arriva un'infermiera, accolta dagli astanti come la visione di un'oasi nel deserto. Lei impassibile li guarda e chiede: "Siete qui per cardiologia?" 
Io fossi stata in mia nonna avrei risposto che no, sotto la gonna nera ho un due pezzi fighissimo e in realtà sto facendo la fila per fare un tuffo in piscina. Ma i tre baldi rispondono che sì, che sono là proprio per quel motivo.
L'infermiera si chiude nella stanza, e quando dopo un paio di minuti viene fuori nuovamente, anziché chiamare il primo paziente, annuncia flemmatica che il dottore è in ferie.
A questo punto i nostri prodi, increduli e indignati, esprimono le loro rimostranze circa il fatto che le ferie non si programmano il giorno stesso, circa il fatto che un medico (come chiunque altro) dovrebbe avere chi lo sostituisce, circa il fatto che tutta quella gente stava aspettando lì da più di mezz'ora rischiando di schiattare per il caldo atroce, e circa il fatto che sarebbe anche una questione di principio e di civiltà non essere trattati come delle ....ops, ho promesso di non esprimere giudizi, e non lo farò. Mi atterrò ai fatti: a questo punto l'infermiera ritiene che non sia un suo problema: alza le spalle e rientra nella stanza, forse temendo che i ringalluzziti ottantenni, magari aizzati dai miei genitori più giovincelli, possano montare una ribellione e fare di lei il capro espiatorio. Ma in realtà no, i vecchini e i miei genitori sono molto educati, e decidono di procedere per le vie civili: mio padre prende il telefono e chiama i carabinieri per denunciare il fatto. E i carabinieri effettivamente si mostrano colpiti e solidali, e assicurano che se avessero i mezzi per spostarsi, andrebbero sicuramente in ospedale a raccogliere la denuncia.

Questo è ciò che è successo, a distanza di pochi giorni e in due paesi neppure troppo lontani. Ma come promesso, stavolta niente giudizi, niente critiche, solo un altro fatto: 

Una ragazza è morta di parto in attesa di un elisoccorso che non è mai arrivato, in un ospedale non attrezzato per assisterla.
Agosto 2013, Nicosia, Sicilia, Italia.

domenica 21 luglio 2013

Non è un paese per donne

Negli ultimi giorni le donne sono state alla ribalta della cronaca italiana: dalla Kyenge alla Minetti, passando per la compagna di Di Cataldo che mostra su Facebook le foto dei maltrattamenti subìti ma non sporge denuncia, e la Boldrini che si rallegra per la decisione della Rai di non trasmettere il concorso di miss Italia, augurandosi che in questo modo le ragazze italiane possano puntare su altri talenti. Come se un concorso di bellezza fosse responsabile della superficiale se non infima considerazione che in Italia si ha delle donne. Come se la condizione della donna in una nazione non dovesse misurarsi su ben altri parametri, a partire dalla rappresentanza in governo e la parità sul lavoro. E il nostro Paese non può certo vantare primati in questi campi. E tanto meno nella lotta al razzismo, ai pregiudizi e all'omofobia. L'ultimo episodio in ordine di tempo, l'insulto di Calderoli alla ministra Kyenge, è l'ennesima conferma di un atteggiamento misogino, ignorante e profondamente incivile. Ancora più grave perché di fronte a queste bassezze il mondo politico tace, e quindi acconsente. Inutili e ipocrite le scuse, poco convinti e altrettanto ipocriti i tentativi del Presidente, com'è che si chiama? ah, sì, Letta, scusate, ma è talmente invisibile che dimentico persino il nome...di far dimettere il logorroico leghista. Se lo stesso episodio fosse avvenuto in uno stadio, e la Kyenge anziché ministra fosse stata un calciatore, allora, apriti cielo (come sarebbe giusto e auspicabile): sarebbero piovute multe, squalifiche e scuse ufficiali. Ma il nostro governo, come già sottolineato in un precedente post, è anomalo, totalmente avulso dalla realtà e probabilmente per questo convinto di essere al di sopra di ogni regola. Pertanto appare inutile e totalmente gratuito prendersela con un concorso di bellezza: fino a quando a governarla saranno certi elementi, l'Italia non sarà mai un Paese per donne.

domenica 14 luglio 2013

Mio zio Napoleone o l'arte della parola

L'ultimo libro che ho letto si intitola "Mi Tio Napoleón", traduzione spagnola (editrice Ático de los libros) del romanzo dell'autore iraniano Iraj Pezeshkzad, pubblicato in lingua persiana nel 1973. Dopo la rivoluzione islamica del 1979 il libro è stato censurato in Iran, anche se ha continuato a circolare in maniera clandestina diventando un cult della letteratura persiana, tanto che l'espressione "zio Napoleone", è passata ad indicare per antonomasia ogni atteggiamento di diffidenza e di convinzioni complottiste nei confronti degli stranieri-in particolar modo degli Inglesi-.
Il personaggio che dà il nome al titolo è appunto un vecchio ex militare che millanta di aver sbaragliato interi eserciti di Inglesi: attraverso le parole si è costruito un mondo immaginario che ha finito per sostituirsi alla propria realtà, e in cui ha coinvolto anche i familiari e i vicini che si vedono costretti a reggere il gioco del parente per scongiurare una serie di catastrofi. La storia d'amore contrastata tra il giovane protagonista e la cugina Layli (figlia dello zio Napoleone) è solo il pretesto per mettere in scena una carrellata di personaggi indimenticabili, che al di là delle proprie caratteristiche fisiche e comportamentali, che potrebbero far pensare a macchiette e stereotipi della società iraniana, si fanno portavoci di una ironia e una satira pungente, esprimendo spesso una critica feroce nei confronti della loro stessa civiltà. Il libro è costruito su dialoghi brillanti, in cui la parola è l'elemento fondamentale per plasmare la realtà, sia quella quotidiana e familiare, sia quella storica e universale. E così basta una parola sussurrata per convincere la gente che nella farmacia del padre del protagonista i medicinali vengano fabbricati con l'alcol, e quindi assolutamente proibiti per la loro cultura; o è sufficiente che lo zio Napoleone nomini la battaglia di Kazerum perché il suo fido servo Mash Qasem rievochi episodi leggendari convinto di esserne stato anche lui protagonista. Il romanzo è un abilissimo gioco di piani di realtà e finzione, in cui un semplice gioco di parole, -come l'espressione "andare a San Francisco" per definire i rapporti sessuali-, può scatenare una serie di equivoci e di situazioni esilaranti ai limiti del parossismo. I personaggi costruiscono il proprio mondo trascinandovi anche il lettore, che finirà per chiedersi smarrito quale sia il confine tra realtà e finzione. Ma alla fine non importa, ciò che conta è la forza della parola. Ed è forse proprio per questo che il libro è stato censurato: del resto ciò che spaventa i regimi è la libertà, e in questo caso la parola è talmente libera e potente da riuscire a creare mondi interi, distruggerne altri, far scoprire le menzogne e gridare la verità. E se i poteri totalitari hanno così tanta paura delle parole, probabilmente è perché i mondi che queste costruiscono non sono poi così tanto irreali...

martedì 9 luglio 2013

Miseria e nobilità (e scarpe da tennis)

La mattina vado in palestra, da brava disoccupata vado presto, come le vecchiette: l'età media a quell'ora è di settantacinque anni, io contribuisco ad abbassarla di poco, anche io alla fine sto diventando grande...E infatti dopo un'estenuante seduta di spinning che mi fa provare l'ebbrezza dell'infarto imminente, mi rilasso nello spogliatoio ascoltando i discorsi delle signore che, a parte gli argomenti d'obbligo tipo morte acciacchi e offerte al supermercato (queste ultime le memorizzo religiosamente, perché le vecchiette in fatto di spesa ne sanno una più del diavolo!), ti offrono impagabili perle di saggezza. Come quella che ieri mattina mi ha elargito una simpatica ultrasettantenne che al ritorno dalla doccia mi ha chiesto con tono allarmato se le scarpe sotto la panca fossero le mie. Rispondo di sì e lei mi guarda come se avessi commesso il più grande errore della mia vita: "Nunca más!" "mai più!" mi dice, e io penso, cavolo, ma fanno così tanta puzza? Poi però mi spiega che farei meglio a non lasciare niente fuori dall'armadietto perché c'è gente "que roba", che ruba, se lasci una cosa in giro te la fanno sparire in un batter d'occhio. Ed io poco convinta chiedo: "Anche le scarpe da tennis? Che schifo!" E lei, "Non ti credere, se le lavi tornano come nuove!" E dato che le persone anziane hanno vissuto un sacco e hanno tantissimi aneddoti interessanti da raccontare, mi elenca tutti i furti che ha subíto proprio in quello stesso spogliatoio. E mentre io penso: "Cavolo, allora è recidiva", infilo precauzionalmente le scarpe in una busta di plastica e le chiudo nell'armadietto. Ma la lezione deve ancora arrivare, perché alla mia osservazione circa il fatto che la gente intorno a noi sembra "buena gente", che non abbia bisogno di rubare, la signora conclude affermando che ruba proprio chi non ne ha bisogno, e mi invita a non dimenticare che solo i poveri sono persone onorate che non rubano. A quel punto la ringrazio per i saggi consigli e chiudo a chiave l'armadietto, anche se so già che domani quando andrò a farmi la doccia, lascerò di nuovo le mie scarpette puzzolenti e sudate sotto la panchetta.

martedì 2 luglio 2013

Tramonto rosso

L'altra sera la nazionale di calcio spagnola ha subìto una cocente sconfitta contro quella brasiliana. A parte i meriti sportivi sui cui non è mia intenzione disquisire, non avendone voglia né competenza, questo episodio mi porta a riflettere sulla parabola discendente che la Spagna sta vivendo da un po' di tempo a questa parte, e che assomiglia in maniera neppur troppo velata a quella che ha interessato l'Italia (e dalla quale ancora non ci siamo ripresi) negli ultimi anni.
Sembra che la Spagna stia vivendo in differita episodi che hanno visto protagonista l'Italia una ventina di anni fa: è proprio storia degli ultimi mesi la scoperta nel Parlamento spagnolo di un sistema di corruzione e finanziamenti illeciti che ha più di un elemento in comune con la Tangentopoli nostrana. Con la differenza che qui nessuno sta urlando ad una presunta dittatura della magistratura né si sta dichiarando vittima dell'odio personale di qualche giudice. Fino a pochi anni fa la Spagna appariva come la grande promessa europea, soprattutto per noi giovani alla ricerca di prima occupazione: andati via dall'Italia dove si aveva l'impressione di essere arrivati troppo tardi ad uno spettacolo già cominciato, anzi sul punto di finire, siamo sbarcati qui con mille speranze e altrettante possibilità. Senza sospettare neanche lontanamente che quello che ci eravamo lasciati alle spalle in Italia ce lo saremmo ritrovati nella nostra nazione adottiva solo più tardi. E l'episodio dell'altra sera allo stadio Maracanà sarà stato anche una sfortunata coincidenza, ma l'ho visto ben inserito in un generale panorama di involuzione e di regressione di una nazione che fino a poco tempo fa cavalcava la cresta dell'onda economica e sembrava destinata ad una grande crescita e ad una prospera stabilità. Ma purtroppo quando manca il fondamentale elemento di coesione di una società -ossia il lavoro- questa è destinata inevitabilmente a deteriorarsi e disgregarsi, e attualmente è innegabile che la Spagna sia al tramonto di un'epoca che sembrava d'oro. Ma se è vero che "rosso di sera"....allora speriamo che sia di buon auspicio per un futuro migliore.

domenica 23 giugno 2013

Idem con patate

Josefa Idem è solo l'ultima in ordine di tempo di una lunga sfilza di politici nostrani che pur scoperti con le mani nel sacco, rifiutano di dimettersi, ignorando, anzi fregandosene completamente dell'opinione e delle richieste di coloro verso i quali dovrebbero avere il massimo rispetto e considerazione, ossia i cittadini che li hanno votati e che praticamente li stipendiano. Ma i nostri governi ultimamente sono anomali, sono posticci e costruiti a tavolino, poco o nulla hanno a che vedere con la volontà del popolo votante -e pagante-, e sempre più si acuisce la distanza tra le due parti e la totale indifferenza di chi detiene il potere nei confronti di coloro ai quali dovrebbero rendere conto e ragione di tutte le loro azioni e decisioni, come sarebbe naturale in una democrazia normale. Ma in Italia siamo abituati a ben altro tenore di scandali, e la ministra avrà pensato bene che quello in cui è coinvolta sia una bazzecola: insomma, non c'è in ballo neanche una escort, nemmeno un po' di droga, quindi niente di grave, che volete che sia qualche tassa non pagata? Così fan tutti, avrà pensato lei, e si sarà voluta sentire un po' più italiana. Ma perché quando una cosa del genere accade in Francia, in Germania (checché ne dica la ministra, in Germania si sono dimessi per aver copiato una tesi...), in Inghilterra e in altri Paesi del mondo civilizzato, i diretti interessati hanno questa strana ed inspiegabile reazione, questo moto irrefrenabile a dimettersi, spinti da qualcosa che il politico italiano medio non riconosce, anzi dal quale sembra essere assolutamente immune: la dignità personale e il rispetto nei confronti dei cittadini.
E se anche fosse vero, come ultimamente avrebbe dichiarato, che era all'insaputa di tutto e che è disposta a pagare gli arretrati con gli interessi, qual è l'esempio che in tal modo si da ai cittadini? "Non pagare le tasse, poi se ti scoprono, di' che non sapevi nulla, mostrati pentito e punta il dito contro qualcun altro."
Se qualcuno si era illuso che potesse inaugurarsi un nuovo corso per la politica italiana, questa è l'ennesima dimostrazione che purtroppo nulla è cambiato, è del tutto uguale a prima...come si suol dire, idem con patate.

martedì 11 giugno 2013

Il canto stonato del Merlo

Su Repubblica è apparso il video-commento del giornalista Francesco Merlo relativamente alla foto scattata dall'astronauta Luca Parmitano, in cui la Sicilia si staglia come una conchiglia scura in un mare grigio perla attraversato a tratti dai raggi del sole. L'immagine è talmente poetica e affascinante che Merlo si lascia trasportare dall'ispirazione, e preso dall'impeto esordisce: "Così la vedono i marziani, i santi e i lunatici, ed è molto più bella di come l'abbiamo mai disegnata noi sul mappamondo..." E sicuramente la Sicilia è molto più bella non solo di come appare su un mappamondo, ma senza ombra di dubbio, di come la dipinge lui con le sue parole, soprattutto quando più avanti la definisce: "la Patria della ferocia e della delinquenza". Ciò che più mi ha colpito, al di là della crudezza e della gravità di queste parole, è quell'articolo determinativo, quel "la" davanti a Patria, come a voler sottolineare che la Sicilia è solo quello, per antonomasia è la madre di tutti i delinquenti e la culla di tutte le ferocie del mondo. È vero che la Sicilia non è solo mare, sole e profumo di zagara e limoni, ma non è possibile però che ogni volta che si nomini questa terra, ci si senta in dovere (e questo capita anche a noi stessi siciliani) di sottolinearne gli aspetti più tragici e crudeli, come se facendolo, si volessero mettere le mani avanti e dire: "Ok, lo so, in Sicilia c'è la mafia, in Sicilia abbiamo ammazzato Falcone e Borsellino, in Sicilia se non paghi il pizzo vai a finire in un pilone di cemento: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa". Come se ognuno di noi dovesse scontare parte di una pena enorme di cui la Storia ci presenta il conto giorno per giorno; come se ricordare a noi stessi gli aspetti negativi della nostra terra ci facesse sentire più innocenti, meno complici. Non voglio fare un elenco di tutte le cose meravigliose e importanti che la Sicilia ha originato, o ripetere i nomi di poeti, scienziati, eroi che in questa terra sono nati, hanno vissuto e l'hanno resa un patrimonio di cultura, di vivacità e intelligenza, una terra fertile di doti eccezionali al di là della violenza e della delinquenza. Vorrei invece far notare come ridurre in una frase talmente negativa, superficiale e gratuita, l'essenza di una terra, sia svilente e decisamente poco professionale per un giornalista, che tra l'altro non si preoccupa nemmeno di verificare il nome corretto dell'autore della fotografia.
Caro Francesco Merlo, la geografia senza storia non è nulla. Una terra senza i propri abitanti è deserto: se tanto godimento trae dall'immagine della Sicilia privata del suo fattore umano, allora non ne parli nemmeno, stia a guardarla in silenzio, che fa più figura. Se permettete, io intanto calo un velo pietoso, e abbasso anche il volume, per godermi le splendide immagini regalateci da Parmitano senza note stonate.

venerdì 31 maggio 2013

Il Cliente ha sempre ragione. Parte 4: Il cliente "Lei non sa chi sono io..."




Ovviamente questa categoria di persone non si incontra solo in occasione di una telefonata al servizio clienti: immagino che chiunque di voi avrà avuto a che fare, sul posto di lavoro, a scuola, in fila alla posta, con gente talmente altezzosa e tronfia da non essere in grado di vedere i propri limiti e i propri difetti. Gente che si crede “superiore” per presunti meriti o titoli di studio o invisibili medaglie al valore. Persone che trattano il proprio simile in modo sprezzante solo perchè ritengono che non occupi un livello pari o superiore nella loro immaginaria scala sociale. Comunque, seppure è vero che questa gente si incontra ovunque, quando ve la ritrovate a gestire al telefono come cliente, si definisce una conversazione tipica. Sebbene la telefonata cominci solitamente con toni pacati, normali, nei canoni dell’educazione e del rispetto reciproci, percepite comunque qualcosa che non vi convince, una sensazione che corre sotto pelle, un senso di fastidio come quando una zanzara vi ronza giusto dentro l’orecchio tutta la notte e quando infine, stremati, accendete la luce per cercare di ammazzarla vi accorgete che si è appollaiata nell’angolo più recondito e inarrivabile del soffitto. Poco prima che possiate difendervi da questa tipologia di cliente arrogante e altezzoso, ecco che questi si palesa con il più classico dei “Lei non sa chi sono io”. Ora, a prescindere da ciò che gli abbiate detto, dal fatto che abbiate soddisfatto o meno il motivo della sua chiamata, questo cliente ci tiene a ribadire la sua presunta superioritá su di voi. Solo perchè voi siete dall’altro lato, e siete stati così carini e amabili da non mandarlo a quel paese quando ha cominciato a rivolgersi in modo maleducato o quando ha preteso di “parlare con un superiore” (un altro classico) perchè non vi ritiene in grado di risolvere il suo problema. Eppure questo cliente non sarebbe così presuntuoso se sapesse che davanti a voi, chiare e luccicanti sul vostro schermo, avete tantissime informazioni utili che, se non vi dicono esattamente chi è, vi permettono comunque di farvi un quadro abbastanza completo. Già, perchè oltre i dati anagrafici, sapete come spende i suoi soldi, e questo rivela molto di più di un esame di coscienza. Sapete cosa compra e come lo paga, se lo paga a saldo o se lo paga a rate. Sapete se è regolare nei pagamenti oppure no, se ultimamente ha viaggiato oppure non si è mosso da casa. Ma ovviamente non potete dirglielo. Avete questo potere in pugno e non potete apprifittarne: una vera pena. Ad un certo punto della telefonata il dialogo è diventato un monologo, e quando provate a interloquire venite corretti prontamente da un: “Dottor/Dottoressa, prego”. Come se la specifica del titolo di laurea contribuisse a modificare il vostro atteggiamento nei suoi confronti. E allora un messaggio per tutti quei Dottori/Dottoresse che telefonano ad un call center: sappiate che un buon 80 per cento degli operatori al vostro servizio è laureato quanto voi ma ritiene che sia superfluo oltrechè di dubbio gusto specificarlo in una telefonata di servizio. E un messaggio di speranza per gli operatori che devono sopportare questi clienti arroganti: lasciateli pure vantarsi dei loro presunti titoli, tanto il potere di risolvere o meno il problema per cui hanno chiamato, è nelle vostre mani, e per capire questo non ci vuole certo una laurea...!!!

sabato 25 maggio 2013

Scontro di civiltà

"Puttana, mongoloide, handicappata" questi sono solo tre degli epiteti che mi sono stati rivolti ieri sera da una punkabbestia nella stazione della metropolitana di Barcellona. "Che cosa avrai fatto mai per meritarti simili complimenti?" mi chiederete. Ebbene, mi sono semplicemente rifiutata di farla passare dietro di me con il mio biglietto regolarmente obliterato. Come sapete, nelle stazioni le porte automatiche si aprono quando si timbra il biglietto e si chiudono rapidamente dietro di voi una volta passati. Ma è pratica tristemente comune per molti furbi accodarsi - "colarse"- appunto dietro ad un ignaro viaggiatore, per "prendere un passaggio" a scrocco. Mi era già capitato di essermi sentita incolpare di razzismo da un omone africano di due metri d'altezza che mi aveva spinto decisamente poco delicatamente per passare dietro di me, al quale mi ero permessa di far notare che non era corretto ciò che aveva fatto, ma sentirmi attribuire aggettivi relativi ad una mia presunta professione  o ad un mio presunto handicap ancora mi mancava. E ci voleva una punkabbestia- più bestia che punk in questo caso- per farmi vivere questa esperienza. E come ho reagito io? Stando zitta. Se da un lato ho ritenuto che fosse inutile abbassarmi al livello di una bestia che latra, ho però nutrito un forte sentimento di impotenza nei confronti di chi si sente in diritto di offendere, ingiuriare e gridare "ti ammazzo" solo perché ha fatto la scelta di vivere ai margini della società. Ma quello che dico io, se hai deciso di non far parte di questa società, tesoro mio, non puoi pretendere di usufruire dei mezzi pubblici che questa società mette a disposizione di chi paga per farne parte. Fattela a piedi, e sbolli un po' di rabbia anziché minacciare di uccidere sconosciuti e anche il tuo compagno che ti invita a stare zitta. Ho solo un ultimo appunto da fare, anzi due. Il primo: la punkabbestia in questione era italiana, e non è un caso. Non so perché ma Barcellona è meta privilegiata di pankabbestia nostrani, e purtroppo il loro comportamento per le strade e nei luoghi pubblici non contribuisce certo a mantenere alta l'immagine del nostro paese qui in Spagna..ci eravamo liberati di Berlusconi, e adesso ci si mettono loro... Secondo punto: visto che Tmb (Trasporti metropolitani di Barcellona) aumenta di anno in anno la tariffa dei biglietti, il minimo che potrebbe fare è rafforzare i controlli per evitare certi spiacevoli inconvenienti.

mercoledì 8 maggio 2013

Il cliente ha sempre ragione. Parte 3: Il cliente che ci ha scambiati per il suo psicologo personale



Non è semplice identificare questa tipologia di cliente dall’inizio della telefonata. Mentre quello arrabbiato lo capisci già dal tono, quello maleducato lo riconosci dal fatto che non saluta, quello confuso perchè ha chiesto se siamo la compagnia del gas…il cliente che ci ha scambiati per il proprio psicologo personale si mimetizza bene e quando infine rivela sua vera identità, è ormai troppo tardi, e vi ha già incastrati in un meccanismo dal quale è molto difficile venire fuori. Solitamente questo tipo di cliente chiama la sera dopo cena, vuole avere tutto il tempo a disposizione e nessuna interruzione. Sa anche che a quell’ora troverà le linee libere e gli operatori un po’ più rilassati e con più tempo a disposizione rispetto al resto della giornata. Aveva già provato a chiamare la mattina ma era stato liquidato rapidamente dopo aver ricevuto l’informazione con cui aveva mascherato la natura della sua telefonata. Anche di pomeriggio non era andata bene, aveva dovuto aspettare in coda per almeno dieci minuti e quella musichetta snervante l’aveva convinto a desistere. Ma da quando ha scoperto che dopo cena riesce a prendere la linea facilmente e a non farsi liquidare con la solita premura, aspetta con ansia quel momento della giornata. “Buonasera, sono G. in cosa posso aiutarla?” “Oh, buonasera, sì, sono il Signor/la Signora Ics”. È emozionato, la voce lo tradisce. Si sente in colpa perchè mentirà all’operatrice, che così gentile e carina farà di tutto per cercare di offrire quell’informazione che in realtà non gli importa affatto. Lui /Lei vuole solo parlare. Ma non di un argomento specifico. No, è sufficiente dare il la e da lì comincia una disquisizione sul tempo, sull’andamento dei mercati, sul traffico, per finire inevitabilmente a fare considerazioni generali sull’essere umano e sul senso della vita. Ma visto che a quell’ora anche voi siete rilassati, e sapete che tra mezz’ora il vostro turno sarà finito, in fin dei conti vi sta bene assecondarlo, e forse quel giorno andrete a casa anche voi un po’ più soddisfatti…